Diritti digitali: cosa ci insegna il referendum catalano

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questa è una traduzione parziale del comunicato ufficiale con cui FKI denuncia la violazione di alcuni diritti fondamentali prima e durante il referendum del 1 ottobre 2017 in Catalogna, e descrive le tecniche di “attivismo digitale” utilizzate per gestire la situazione)

Indipendentemente dall’essere pro o contro l’indipendenza di una regione europea, FKI ritiene che alcuni diritti fondamentali siano stati violati durante la preparazione e svolgimento del referendum catalano del 1 ottobre 2017. Il gruppo FKI di Barcellona è stato testimone diretto di questi eventi, e considera suo dovere dichiarare e documentare quanto segue.

  • FKI condanna fortemente la violenza fisica esercitata contro votanti pacifici, e la censura esercitata contro i cittadini, organizzazioni, aziende e istituzioni della Catalogna
  • In particolare, FKI condanna fortemente le varie azioni di censura online, dall’oscuramento di centinaia di siti al filtraggio in collaborazione con i principali fornitori di accesso (Telefonica, Vodafone, Orange), e al blocco delle applicazioni di voto tramite la collaborazione con Amazon e Google.

Auto-organizzazione e uso di tecnologie distribuite

Difendere la propria libertà e i propri diritti con tecnologie appropriate è sempre più importante, e da questo punto di vista il referendum catalano, e il modo in cui è stato effettuato nonostante il “blocco” esercitato dal governo spagnolo, può insegnare parecchie cose.

Quando la polizia spagnola ha sequestrato milioni di poster e opuscoli sul referendum, i cittadini hanno iniziato a condividerli online in formato PDF, per stamparli in proprio o affiggerli nelle strade, come mostra questa galleria fotografica su Wikipedia. Lo stesso è accaduto con le schede per votare, per essere sicuri che ce ne fossero a sufficienza nel giorno del referendum.

L’oscuramento del sito ufficiale del referendum (referendum.cat) era stato previsto e quindi, non appena accadde, vennero messe online diverse copie. Soprattutto, gli amministratori del sito ne hanno pubblicato tutto il codice sorgente su github, per permettere a chiunque di migliorarlo.

Alla fine di settembre il database con gli indirizzi di tutti i seggi elettorali è stato pubblicato sullo stesso sito, per permettere a tutti di controllare, con app scritte su misura per garantire la massima sicurezza, dove votare. Su richiesta delle autorità spagnole, Google e poi Amazon hanno però rimosso quelle app e il database dai loro store e server. Nel frattempo, i grandi fornitori di accesso fisso e mobile a Internet iniziavano ad applicare tecniche di filtraggio automatico, per impedire di connettersi direttamente ai siti che appoggiavano il referendum. Collegandosi a Internet da fuori la Spagna, però, con le tecniche note come VPN (Virtual Private Network) i siti rimanevano raggiungibili, e quindi se ne è diffuso subito l’uso.

In parallelo è stata sviluppata una app “distribuita” tramite il server e protocollo IPFS.io. Se si installa l’applicazione IPFS sul proprio computer non si dipende più da app store o server centralizzati. In questo modo il rischio di blocchi e censura è ridotto al minimo, a meno che venga bloccato l’intero dominio .io, che è basato nel Regno Unito. Ma anche in quel caso sarebbe possibile continuare a comunicare, e a mantenere online intere copie di tutto il sistema (per dettagli tecnici, vedi qui). Chi non aveva competenze tecniche adeguate ha potuto comunque utilizzare le app per sapere dove votare, o i vari siti sul referendum, grazie a gruppi di assistenza tecnica, formatisi spontaneamente un po’ ovunque.

Le misure prese dal governo spagnolo per impedire lo svolgimento del referendum includevano il blocco dei seggi elettorali 48 ore prima del voto. Per impedirlo, migliaia di cittadini hanno presidiato per giorni gli stessi luoghi, consentendo alla fine non solo di votare, ma anche di conservare per lo scrutinio due milioni e duecentomila schede. Questo risultato è stato ottenuto anche a varie contromisure “digitali”.
Fra queste va segnalate un social network distribuito, grazie al quale è stato possibile conservare migliaia di pacchi di schede e altro equipaggiamento per votare, in altrettante case private per evitarne la confisca, portandole nei seggi solo all’ultimissimo minuto. L’accesso a Internet durante il voto, soprattutto intorno ai seggi, era cruciale per garantire l’esercizio del voto, ed è stato assicurato grazie alla continua e massiccia apertura e condivisione di connessioni private, sia residenziali che mobili. L’applicazione per sapere dove votare era stata bloccata all’inizio del voto. Stranamente, IPFS non è stato usato fin dall’inizio per prevenire questo particolare problema, ma l’applicazione è comunque riapparsa su altri indirizzi IP entro un paio d’ore.

Dopo il referendum

Dopo il referendum i cittadini catalani hanno continuato e continuano a utilizzare attivamente i social network per coordinarsi e mantenersi informati. A questo proposito, occorre segnalare che Whatsapp and Telegram sono tenuti sotto controllo dalle istituzioni, mentre Signal garantisce una maggiore protezione grazie a sistemi verificabili di cifratura end-to-end. Altra cosa da ricordare è che nessuna di queste applicazioni funziona quando i fornitori di accesso a Internet lo bloccano; è per questo che in Catalogna sempre più persone hanno installato l’applicazione FireChat, che non è software libero, ma permette di comunicare direttamente via Wifi e Bluetooth, anche quando non c’è alcuna connessione a Internet vera e propria. FireChat è nata per comunicare durante terremoti e altre situazioni d’emergenza ma, come documentato nella guida di X-net (4), si è rivelata molto utile anche per contrastare blocchi e censure via Internet.

 

References

  1. The Open Observatory of Network Interference (OONI) analyses the used filtering techniques for at least 25 blocked sites
  2. Internet Society statement on Internet blocking measures in Catalonia, Spain
  3. EFF declaration: .cat Domain a Casualty in Catalonian Independence Crackdown
  4. X-net Basic Howto for preserving fundamental rights on the Internet
  5. RT.com: Assange accuses Spain of conducting ‘world’s first internet war’ to shut down Catalan referendum

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